
Secondo un rapporto del Censis intitolato *Speranze, timori, rancori: la ripresa difficile*, gli italiani giudicano la mancanza di lavoro il più grave problema del nostro Paese.
Questa preoccupazione diffusa, e del tutto legittima, porta però alla convinzione errata che il lavoro sia un fine e non un mezzo.
Cioè: se hai un lavoro sei a posto. Il tuo lavoro ti protegge da qualsiasi cosa, perché ti dà ogni mese un reddito.
Ora, naturalmente dai nostri redditi dipende direttamente il nostro benessere, e su questo non ci piove. Avere un lavoro che permette di portare a casa dei soldi è la condizione imprescindibile per qualsiasi ragionamento sulla serenità economica.
Ma il reddito non è l'unica risorsa che ci tutela e ci garantisce uno stile di vita soddisfacente, oggi e domani.
Oltre al reddito, il lavoro dovrebbe garantire anche alcune tutele fondamentali:
- La tutela nel caso in cui il lavoratore sia vittima di qualche grave incidente;
- La tutela per la famiglia del lavoratore;
- La tutela per una vecchiaia serena.
Credo che sia un concetto importante da chiarire soprattutto a chi si avvicina al mondo del lavoro oggi, perché i giovani sono spesso concentrati sui benefici del reddito, come andare a vivere da soli, sposarsi, essere insomma economicamente indipendenti, ma si dimenticano che tutte queste cose dovrebbero essere tutelate.
E anche se i giovani raggiungono un reddito, oggi le loro tutele sono messe a rischio a causa di un fattore molto importante: l'ingresso sempre più tardivo nel mondo del lavoro.
Chi inizia a lavorare oggi lo fa tardi.
Questo ha delle conseguenze molto importanti dal punto di vista della stabilità economica, di cui vorrei parlarti in questo articolo.
Se hai un figlio o una figlia che sta studiando o che è in cerca del suo primo impiego, è molto importante che conosca quello che stai per scoprire nelle prossime righe.
A cominciare dalla generazione degli anni '80, l'inizio dell'attività lavorativa si è spostato sempre più in là con gli anni.
Non è compito mio indagare le cause di questa situazione, ma è un fatto: l'inserimento lavorativo richiede molto più tempo che in passato.
Le ragioni sono diverse:
- Percorsi formativi sempre più lunghi, tra dottorati, master e tirocini formativi, richiesti da un mercato del lavoro che richiede sempre più specializzazione;
- Il mercato del lavoro è più dinamico che in passato: questo vuol dire più opportunità, ma anche meno continuità lavorativa;
- Gli stage formativi sono ormai un percorso obbligato, essere assunti in azienda dopo gli studi è un fenomeno raro e riservato ad alcuni settori.
Questa situazione, che non è né buona né cattiva, ha conseguenze ben più gravi che "uscire di casa a trent'anni".
Facciamo un esempio.
Prendiamo Marco, uno studente universitario.
Marco esce dall'università a 23 anni e si mette a cercare lavoro.
Il suo primo incarico è un lavoro in nero, e dura 6 mesi.
Grazie a questa esperienza, Marco trova uno stage. Gratuito o no non importa: è uno stage formativo di 6 mesi.
Durante lo stage capisce che quello non è il lavoro che vorrà fare, e si mette a cercare altro.
Siccome è bravo e fortunato, trova un altro stage.
Dopo 6 mesi viene assunto in azienda con un contratto a collaborazione.
Dopo 1 anno viene assunto con un contratto a tempo indeterminato; Marco ha 26 anni, e ha finalmente trovato la sua stabilità lavorativa.
Ma l'azienda è instabile, e dopo 3 anni di lavoro Marco, che è ambizioso e intraprendente, decide di mettersi in proprio per non rischiare di essere lasciato a piedi.
Grazie ai soldi messi da parte, a 29 anni fonda con altri due soci una start up, e lavora senza stipendio per un anno.
Dopo un anno può finalmente darsi uno stipendio part-time, e l'anno successivo arriva a darsi uno stipendio intero.
A 33 anni Marco ha una situazione lavorativamente stabile.
Questo è solo un esempio, ma se anche tu vivi nel mondo reale sai che percorsi post-studio del genere sono più la norma che l'eccezione. Chi ha trent'anni oggi ha buone probabilità di avere cambiato più posti di lavoro rispetto a suo padre.
Questo non vuol dire che non sia possibile ottenere un reddito, anche in giovane età: nell'esempio, Marco ottiene il suo a 24 anni e mezzo, che è anche un'età relativamente giovane.
Il problema vero è l'intermittenza lavorativa, che espone i neolavoratori a 3 gravissimi rischi.
Marco infatti all'inizio ha lavorato in nero e ha fatto due stage; in questo periodo non ha versato contributi.
Successivamente, inoltre, ha lasciato il suo primo impiego e per mettersi in proprio è stato "disoccupato" per un altro anno.
Questa discontinuità ha tre conseguenze:
- Marco ha poca anzianità contributiva
Marco ha 33 anni e lavora da quando ne aveva 23, ma per lo stato ha lavorato solo per 5 anni.
Questo vuol dire che Marco andrà in pensione molto tardi, anche se ha iniziato a lavorare relativamente presto; - Marco non ha diritto alla pensione di invalidità o di inabilità
Si ha diritto a queste pensioni solo con 5 anni di contribuzione, di cui almeno 3 nel quinquennio precedente. Nell'esempio Marco potrebbe avere raggiunto questo diritto a 28 anni, ossia dopo ben 5 anni dall'inizio dell'attività lavorativa effettiva.
Chi sperimenta molte interruzioni, a causa di disoccupazione o scelte personali come in questo caso, potrebbe non avere i requisiti per queste pensioni assistenziali. - Marco ha un montante contributivo basso
Ipotizzando che in tutti i 5 anni di lavoro retribuito abbia percepito un reddito lordo annuo di 21.292 € (cosa che non è, visto che un anno ha lavorato part-time), il suo montante contributivo sarebbe di 35.131,80 € circa. La sua pensione di invalidità ammonterebbe a 1.968,72 € all'anno, ovvero circa 151,44 € per tredici mesi. E tra l'altro percepirebbe questa cifra solo se perdesse oltre due terzi delle sue funzionalità, ovvero in caso di invalidità molto gravi, per le quali 151,44 € non sarebbero neanche lontanamente un aiuto.
In altre parole, chi comincia l'attività lavorativa tardi, o ha un'attività lavorativa irregolare, è penalizzato da queste regole.
Il reddito è solo la parte più visibile e immediata delle tutele del lavoratore: è la parte che finisce direttamente nelle sue tasche.
Ma esistono anche altre tutele a cui un lavoratore dovrebbe avere diritto, e sono tutele di cui di solito nessuno parla perché sono nascoste.
Poi certo, c'è anche il problema delle pensioni di vecchiaia, che va per la maggiore in questo periodo: ma la pensione di vecchiaia è qualcosa che sarà nel futuro, mentre esistono alcuni rischi a cui siamo esposti OGGI.
Il sistema di tutele dell'INPS è un sistema che è stato creato per un mondo lavorativo in cui usciti dall'università si entrava in azienda senza uscirne più. Oggi non è più così.
Il sistema contributivo è stato un duro colpo (per quanto necessario) alle tutele dei lavoratori, ma ciò che oggi rappresenta il rischio maggiore per chi lavora da poco è l'intermittenza lavorativa.
Se i tuoi figli sono in questa situazione, o se tu stesso hai avuto anni di stage o semplicemente periodi in cui hai interrotto il lavoro, ti serve conoscere tre dati fondamentali del tuo stato patrimoniale:
- Qual è il tuo montante contributivo;
- A quanto ammontano le pensioni che potresti ricevere OGGI;
- Qual è la tua anzianità contributiva.
Solo con questi numeri in mano puoi sapere veramente quanti soldi ti spettano, per cosa e soprattutto in quali casi.
Una volta che avrai questi numeri in mano, potrai pensare a come impiegare al meglio il tuo reddito.
Se vuoi conoscere i numeri reali della tua situazione economica, io posso aiutarti: contattami, ti spiegherò come ottenere questa consulenza gratuita.
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